Un giorno al ghetto di Roma. Sopravvissuti, kippah nascoste e Digos. Mentana: "La sinistra ha lasciato Israele alla destra"


Foto Ansa
Il racconto
Ventiquattro ore in un quartiere senza più ebrei, ma con americani, conduttori tv, alla vigilia delle elezioni della comunità ebraica e della grande manifestazione di sinistra
Si nascondono la kippah sotto i cappelli di baseball, le mamme non vi parlano, la Digos, qui, sta anche nel piatto. Cerchiamo, e troviamo, al ghetto di Roma, a via Santa Maria del Pianto, via Reginella, piazza Mattei, alla vigilia dalla grande manifestazione contro Netanyahu, di Piazza San Giovanni, la paura dolcificata, quella che Emanuele Di Porto, 94 anni, sopravvissuto alla Shoah, definisce “l’accortezza”, Enrico Mentana, “la vita serena di un piccolo paese”, la professoressa Linda Laura Sabbadini “un odore”, la paura fritta: “Lo sente?”. Cosa? “E’ paura”. L’antisemitismo, qui, si scioglie nell’aria come il solido di Marx, si fa gassoso.
Fermo a caso il primo agente per domandare se è vero che al ghetto di Roma sia scomparsa la vita, se è vero che, come lamenta la cameriera Rabea: “Qui nessuno venire, qui tutti angoscia. Disastro”. Cosa è vero? Dice l’agente che dal “Sette ottobre” sono calate le presenze, ma sarebbe falso raccontare questa striscia retta, duecento metri di tavoli, di menù, abbacchi, carciofi, e formaggi, come un tunnel a cielo aperto: “Prima o poi la vita torna, sempre, tornano i turisti a ciabattare e, se chiede, scoprirà che hanno aperto altri quattro ristoranti”.
Ai muri della scuola ebraica Vittorio Polacco, dal “Sette ottobre” sono affisse le fotografie degli ostaggi israeliani e c’è servizio d’ordine a ogni angolo, che però è discreto, sorridente, barbe a pance come nel romanzo “Il ciarlatano” di Singer. Nessuno parla di Elly Schlein, della sua scelta di escludere Renzi e Calenda dalla grande manifestazione, di inserire un chiaro riferimento all’antisemitismo, nessuno si preoccupa dell’intervento della giornalista palestinese Rula Jebrael perché racconta Umberto Di Veroli, operatore sociosanitario, ebreo, un figlio che studia per diventare rabbino: “Guarda che al ghetto gli ebrei residenti saranno rimasti in tutto non più di venti”. Offre la mappa che sembra un palinsesto Rai: “Lì, a destra, all’ultimo piano, abita Mara Venier che ha due appartamenti, attico e super attico, ma c’è anche casa di Lucia Annunziata; poco avanti può trovare il direttore Mentana, ma la vera star è Di Porto, “il bambino del tram”, che a 94 anni si è trasferito, a viale Marconi, ma che ogni mattina, su questa panca racconta la sua storia”.
Intorno si registra una bellissima congiura della riservatezza, un silenzio elettorale che spiegano al Forno del ghetto, di piazza Costaguti, si deve alle elezioni della comunità ebraica. Si vota questa domenica e gli elettori sono circa diecimila, tre liste presentate, un probabile vincitore, l’uscente, Victor Fadlun che viene sfidato da Noemi Di Segni e Barbara Pontecorvo. Dicono di fronte alla sinagoga (15 euro, visita guidata) a pochi metri dalla libreria della comunità ebraica, che la lista di Di Segni sarebbe la lista “di sinistra” e che Fadlun, l’uscente, un centrista, si sarebbe dimesso per rafforzare la sua maggioranza.
E’ in pratica un rimpasto come si è rimpastato questo quartiere, dove ora si vende anche il prosciutto, dove la kippah si tiene in tasca su suggerimento del rabbino capo. La nazionalità dominante è l’americana e poi ci sono i francesi che vengono ad acquistare le fotografie di Mario Dondero al piccolo Museo del Louvre. Non c’è un ebreo che possa chiamare “Netanyahu boia”, ma dice Avi, uno dei fratelli proprietari di BaGhetto, quattro ristoranti, cucina kosher, che “la guerra ora deve finire. Vanno liberati gli ostaggi e poi basta”. Lo dice avvicinandosi al tavolo dove ci aspetta Mentana con le sue bimbe, Nina e Bice, le cavalier king, Mentana che su questo tavolo, ogni giorno, si rompe la testa, Mentana che pensa (e come sarebbe bello se pensasse oggi a Milano, al Teatro Parenti): “La sinistra non può stare con Netanyahu, ma c’è stato un tempo in cui la sinistra stava con Israele. Il kibbutz era un esperimento socialista, il ministro degli Esteri russo Gromyko si vantava che la sua mano, il suo voto, all’Onu, aveva fatto nascere lo stato di Israele. La sinistra ha lasciato Israele alla destra, ma cosa c’è stato di più romantico per un giovane di sinistra, dopo il 1945, che la battaglia israeliana per sopravvivere? La battaglia di Davide contro Golia?”.
Dice Mentana che “l’Olocausto è stato fino al Novecento la grande colpa dell’Europa” e che “ci siamo portati il peso della storia ma stanno morendo i sopravvissuti e l’Europa si sta dimenticando di quella colpa”. Torno allora su quella panca, di legno, la panchina dove ogni giorno Emanuele Di Porto, ebreo, racconta la sua storia a chi vuole ascoltare: “La notte del 16 ottobre del 1943 i tedeschi vengono al ghetto a fare i rastrellamenti. Nei giorni precedenti avevano chiesto 50 chili d’oro altrimenti la minaccia è che avrebbero catturato 200 padri di famiglia. Tutta la comunità, anche grazie all’aiuto dei cattolici, raccolse l’oro. Non bastò. I fascisti ci vendevano con il tariffario: 5 mila lire gli uomini, 3 mila lire le donne. I tedeschi vennero. Non trovando mio padre catturarono mia madre. Avevo tredici anni. Piango, afferro per la gonna mia madre, lei mi urla: fuggi, vai via. Ci catturano. A un certo punto mia madre mi lancia giù dal camion. Non mi rassegno. Vado cercarla. Salgo su un tram, convinto di trovarla, ma un bigliettaio italiano, che aveva capito tutto, mi ordina di stare vicino a lui. Per tre giorni i bigliettai, a turno, mi tennero su quel tram. Mi salvarono, rischiando la loro vita. Per sopravvivere andai poi a vendere souvenir, al posto di mio padre che piangeva. Non mangiava. Un giorno un soldato tedesco anziché pagarmi cinquanta lire me ne porge 500. Uno sbaglio. Ero terrorizzato, e non uscivo più di casa. Quando tornai a vendere, chi ritrovo? Lo stesso soldato che mi regala anche una cioccolata. A 94 anni ho capito che quei soldi non erano un errore, ma un aiuto. E’ la prova che si poteva essere umani anche in mezzo alle bestie. Lei oggi mi domanda cosa ne penso di Netanyahu, e fa bene, ma la domanda, mi imbarazza. Le posso rispondere che sono un ebreo, un sopravvissuto, per azzardo. Quando morirò si potrà dire: era solo una storia. Ora capisce perché ogni giorno cerco qualcuno a cui raccontarla?”.
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